Poltrone d'ufficio: chi non le cambierebbe?
In un recente articolo pubblicato sul Wall Street Journal si discuteva di quali caratteristiche dovrebbero avere le sedie per l'ufficio - poltrone girevoli, poltrone direzionali, ecc. – secondo diversi punti di vista: quello degli impiegati, quello delle aziende produttrici, quello delle aziende venditrici, quello di medici e chiropratici. Sembra non esista nessun altro mobile d'ufficio come la propria sedia capace di evocare un tale attaccamento fisico e psicologico. Se per caso qualcuno sostituisse la “nostra” poltrona con un'altra, ce ne accorgeremmo (e ce ne accorgiamo) subito.
Questo perché il tempo trascorso incollati a quella seduta è davvero lungo: nel corso di una giornata, degli anni, di una vita. Il più lungo trascorso appresso un mobile, fatta accezione per il letto di casa. I mobilifici sanno bene che la scelta di una poltrona per l'ufficio va al di là del suo bell'aspetto ed è per questo che sottopongono ogni nuovo modello a test di simulazione d'utilizzo, talvolta reclutando gruppi di impiegati e di effettivi utilizzatori del prodotto. È altrettanto vero, però, che non sempre e non tutte le aziende si dedicano alle necessarie prove d'esperienza delle loro poltrone. Capita che sfornino sedute tecnologicamente avanzate o alla moda, ma poco o per nulla attente alla salute di chi vi si siede.
Secondo una ricerca di un rivenditore di mobili del Massachusetts, il 50% degli impiegati interpellati vorrebbero, se potessero, cambiare la propria sedia in ufficio, e per l'86% di loro quella poltrona è spesso causa di fastidiosi malesseri. In effetti la scelta della seduta giusta, comoda e adattabile alle esigenze di ogni singolo lavoratore, migliora sia la qualità della vita sul posto di lavoro, sia il benessere della persona sia, conseguentemente, le prestazioni lavorative. E non di poco: del 17% in più, secondo gli studi pubblicati dalla rivista scientifica americana Journal of Safety Research nel 2008.
Etichette: poltrone direzionali, poltrone girevoli
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